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Da Cardia a Draghi, la grande partita delle nomine pubbliche al via

di Orazio CarabiniCronologia articolo04 luglio 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 04 luglio 2010 alle ore 08:03.

All'inizio del 2008, mentre la maggioranza di centro-sinistra era già in preda alle convulsioni, prese a circolare un teorema: "Il governo Prodi non cadrà perché nell'arco di pochi mesi ha un impressionante numero di nomine da fare". Daniele Capezzone, reduce dalla presidenza della commissione Attività produttive della Camera, azzardò addirittura una cifra: 600 posti, tra quelli di prima fila e quelli secondari, da assegnare. Ma il 24 gennaio 2008 il governo Prodi cadde. E non si rialzò.

Passarono pochi mesi. Il Popolo delle libertà aveva stravinto le elezioni ed era stato formato il governo Berlusconi. Al ministero dell'Economia era tornato Giulio Tremonti che confidò a una persona a lui vicina: "Siamo seduti su una miniera d'oro. Abbiamo 5mila nomine da fare". Quanto "a valle" sia sceso Tremonti nel fare quella stima non è dato sapere. Certo è che se nel mucchio finiscono enti e imprese pubbliche, authority e fondazioni, società e consorzi controllati da regioni, province e comuni, con tutto il contorno di partecipazioni e filiazioni, il numero non appare inverosimile.

Solo che fare le nomine non è affatto semplice. Soprattutto quando, come in questo momento, le fibrillazioni politiche sono forti. Claudio Scajola si è dimesso da ministro dello Sviluppo economico il 4 maggio scorso. Sono passati due mesi e la poltrona, offerta da Silvio Berlusconi anche a imprenditori come Luca di Montezemolo ed Emma Marcegaglia, è ancora vacante. Che il mandato di Lamberto Cardia (76 anni) alla Consob scadesse il 30 giugno era noto da tempo. Eppure la data fatidica è arrivata e il successore del presidente della Consob non è stato individuato. O meglio: dovrebbe essere l'attuale presidente dell'Antitrust Antonio Catricalà (in scadenza nel marzo 2012) senonché la sua designazione ha innescato un "effetto domino" che, insieme all'incertezza sulla scelta del ministro dello Sviluppo economico, sta paralizzando il meccanismo decisionale.

Il governo ha davanti a sè 18 mesi in cui può ridisegnare la mappa del potere economico in Italia: si comincia ora con il presidente della Consob (e probabilmente dell'Antitrust), si prosegue nella primavera del 2011 con i vertici delle più importanti imprese pubbliche (Eni, Enel, Finmeccanica), si conclude alla fine del 2011 con il governatore della Banca d'Italia. Finora la performance dell'esecutivo, in termini di tempestività, non è stata esaltante. Per rinnovare il consiglio di amministrazione delle Ferrovie l'assemblea è stata tenuta aperta dal 19 maggio al 25 giugno: l'ad Mauro Moretti è stato confermato e al suo fianco è spuntato a sorpresa, come presidente, proprio Cardia. Dei due nuovi consiglieri uno, Stefano Zaninelli, è espressione della Lega, l'altro, Alberto Brandani, è dell'Udc. Toccherà al nuovo Cda pilotare una serie di nomine, da Trenitalia a Rfi, molto ambite. Sulle quali il governo e i partiti si faranno sentire.

Più celere è stato l'iter per il consiglio della Cassa depositi e prestiti dove l'urgenza era rimuovere l'ad Massimo Varazzani, scelto dall'attuale governo ma divenuto "sgradito" dopo poco più di un anno di lavoro. Lì ci hanno pensato il direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli e il presidente dell'Acri e della Cariplo Giuseppe Guzzetti a far cadere la scelta su Giovanni Gorno Tempini, proveniente dalla Mittel di Giovanni Bazoli e Romain Zaleski.

Le complicazioni sono arrivate con la successione di Cardia alla Consob. Prima il 24, poi il 30 giugno sembrava certa la designazione di Catricalà. E invece la fumata è stata nera. Il perché non è chiaro. C'è chi sostiene che avrebbero pesato le pressioni dei "concorrenti": il primo presidente della Corte di cassazione Vincenzo Carbone, che martedì lascerà il suo incarico per raggiunti limiti di età, e il viceministro Giuseppe Vegas. C'è invece chi sostiene che Berlusconi e il suo braccio destro Gianni Letta vogliano inserire questa nomina in un pacchetto più ampio. Per evitare sorprese che potrebbero cominciare già con la scelta del successore di Catricalà all'Antitrust. La designazione compete infatti ai presidenti delle Camere, Renato Schifani e Gianfranco Fini. Ma i rapporti dell'ex-capo di An e cofondatore del Pdl con Berlusconi in questa fase sono piuttosto tesi.

Per l'Autorità della concorrenza circola già una nutrita serie di candidati che comprende, oltre a Carbone e a Vegas, il segretario generale della Farnesina Giampiero Massolo, Giuseppe Tizzano, giudice della Corte di giustizia Ue, Enzo Moavero Milanesi, giudice del Tribunale di primo grado di Bruxelles e stretto collaboratore dell'ex-commissario alla Concorrenza Ue Mario Monti, e infine il direttore generale della Rai Mauro Masi.

A ingarbugliare la matassa potrebbe contribuire il passaggio dell'ad di Poste Italiane Massimo Sarmi al ministero dello Sviluppo economico. Un'ipotesi che circola da qualche settimana ma che stenta a concretizzarsi.

Per la successione alla guida delle Poste c'è già un candidato della Lega, il milanese Danilo Oreste Broggi, oggi al vertice della Consip, la centrale unica per gli acquisti di beni e servizi della pubblica aministrazione. Il mandato di Sarmi alle Poste scade nella prossima primavera, con l'assemblea che sarà chiamata ad approvare il bilancio 2010.

Stessa scadenza anche per gli incarichi più prestigiosi (e meglio retribuiti) tra le imprese controllate dallo Stato, cioè i consigli di amministrazione di Eni, Enel, Finmeccanica e Terna. Tutte società quotate, ma con una diga di almeno il 30% in mano pubblica (tra quote del Tesoro e della Cassa depositi e prestiti) che assegna al governo il potere di nominare la maggioranza del consiglio di amministrazione, il presidente e l'amministratore delegato.

La rincorsa per le poltrone più ambite è già partita. Il via è stato azionato a fine maggio, in parallelo con la pubblicazione su molti quotidiani di indiscrezioni su presunte indagini giudiziarie su fondi neri che sarebbero stati costituiti dalla Finmeccanica, la società che gestisce appalti nell'industria delle armi e dell'aerospazio, un'attività delicata, che – come in tutto il mondo – ha zone di opacità. Le presunte indagini sarebbero collegate alle intercettazioni o dichiarazioni del faccendiere Gennaro Mokbel e dell'ex senatore Nicola Di Girolamo, entrambi in carcere, accusati per la truffa carosello dell'Iva nell'indagine Fastweb-Telecom.

Dietro il clamore di alcune ricostruzioni giornalistiche, cui Finmeccanica ha risposto con smentite e con una denuncia per aggiotaggio contro ignoti, non risulta finora l'evidenza di indagini a carico della società aerospaziale né dei suoi dirigenti. La Procura di Roma ha smentito che ci siano indagini. La vicenda però ha fatto arrivare un segnale di allarme al vertice di Finmeccanica, dove regna dall'aprile 2002 Pier Francesco Guarguaglini. Lo stesso Guarguaglini ha riconosciuto di sentirsi sotto scacco: "Forse qualcuno voleva mandarmi a casa con un anno di anticipo".

Legato da antica amicizia al conterraneo Altero Matteoli, ministro (ex An) delle Infrastrutture, con solidi rapporti anche nel centro-sinistra, da Giuliano Amato a esponenti del Pd, Guarguaglini nel governo ha il pieno sostegno di Gianni Letta. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio il 12 febbraio scorso, all'Aquila, ha detto: "Il fattore del successo di Finmeccanica è Guarguaglini". Il manager toscano è da riconfermare? "Per quanto mi riguarda è sicuro ma non dipende solo da me", ha risposto Letta.

Con il numero uno di Finmeccanica è più freddo il ministro dell'Economia, insieme al braccio destro, Marco Milanese, ex ufficiale della guardia di Finanza. Tremonti imputerebbe tra l'altro a Finmeccanica di non averlo informato in modo compiuto dell'onerosa acquisizione della società americana Drs, per la quale l'affondo decisivo fu lanciato nel maggio 2008, nel passaggio di consegne dal governo Prodi all'attuale.

Per la successione a Guarguaglini un candidato è Flavio Cattaneo, 47 anni, amministratore delegato di Terna, ex direttore generale della Rai. Alla recente cerimonia per la relazione annuale dell'Antitrust Cattaneo ha preso da parte Guarguaglini e gli ha detto: "Guarda che non sono io la "manina italiana" che secondo te soffia sul fuoco dei guai giudiziari di Finmeccanica". Cattaneo potrebbe traslocare anche in coppia con il suo presidente, Luigi Roth, già conoscitore dell'industria delle armi all'ex Efim, come presidente della Finanziaria Ernesto Breda.

Il manager milanese, che alla guida di Terna ha ottenuto buoni risultati industriali e in Borsa, ha ottimi appoggi politici, dal ministro della Difesa Ignazio La Russa a Paolo Berlusconi, fratello del premier. Cattaneo ha voglia di crescere. Studia con attenzione anche la situazione patrimoniale dell'Enel, la società guidata da Fulvio Conti da cui si è staccata Terna, mentre ora nel bouquet degli obiettivi sarebbero entrate le Poste.

Quanto a Guarguaglini, che l'anno prossimo compirà 74 anni, uno in meno del presidente del Consiglio, non ha certo intenzione di ritirarsi. Sa che la corsa è in salita e che, anche in caso di conferma, difficilmente potrà mantenere sia la carica di presidente sia di amministratore delegato, unico caso tra le grandi aziende italiane. Intanto, per muovere le acque, sta valutando di ampliare il ruolo di una terna di dirigenti interni che comprende Giuseppe Orsi, l'a.d. di AgustaWestland, l'azienda punta di diamante del gruppo, sul quale potrebbero convergere le simpatie della Lega, Alessandro Pansa, condirettore generale e Cfo, infine l'uomo che ha rilanciato Ansaldo Energia, Giuseppe Zampini. Alla scadenza della primavera 2011 un altro antagonista per la guida di Finmeccanica potrebbe essere Giuseppe Bono, un altro ex dirigente Efim, oggi alla Fincantieri, che fu costretto a lasciare il gruppo aerospaziale nel 2002 per far spazio a Guarguaglini.

Alcuni anni fa per Finmeccanica il governo aveva sondato anche la disponibilità di Paolo Scaroni, poi il manager vicentino è andato all'Enel nel 2002, quindi all'Eni, dove l'anno prossimo completerà sei anni sulla tolda. Il gruppo del petrolio e gas è la prima società italiana per capitalizzazione di Borsa, dal 2009 non lo è più per profitti. Scaroni aveva accarezzato l'ipotesi di andare alla guida delle Generali, dove è entrato nel cda, ma per la successione al presidente Antoine Bernheim, decisa a fine aprile, gli azionisti di Trieste hanno scelto Cesare Geronzi.

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Sono francesi e italiane le banche più penalizzate dallo stress test

di Antonella OlivieriCronologia articolo3 luglio 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 luglio 2010 alle ore 09:39.

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Il Financial Times riportava ieri l'aspettativa che una ventina di banche europee potrebbero essere costrette a iniezioni di capitale come conseguenza dei risultati degli stress test di questo mese per una cifra complessiva dell'ordine di 30 miliardi. Il quotidiano britannico segnalava tra i possibili candidati alla ricapitalizzazione anche Mps e Banca Popolare di Milano, che però hanno smentito di essere nelle condizioni di dover ricorrere al mercato.

Non fa riferimento allo stesso campione di istituti, ma il team di analisti di Mediobanca securities Uk ha provato a simulare in vitro un proprio stress test su 21 banche internazionali, le maggiori di Stati Uniti e alcuni paesi europei, concludendo che, se fosse imposto quest'anno di raggiungere un core Tier 1 dell'8% all'appello mancherebbero teoricamente 105,6 miliardi. La pressione sul mercato cioè potrebbe essere ben più alta delle attese? In realtà non è così, perché i nuovi parametri di Basilea 3 non saranno introdotti prima di fine 2012 e le simulazioni di Mediobanca Uk arrivano infatti a circoscrivere le esigenze di capitale a 20,3 miliardi grazie agli utili che le banche potrebbero macinare da qui ad allora, dopo aver remunerato gli azionisti con i dividendi.

Il dato previsionale, ovviamente, è il prodotto di valutazioni soggettive sui singoli istituti fatte dagli analisti, ma rende l'idea del fatto che in prospettiva il problema del rafforzamento patrimoniale possa sfociare piuttosto in una questione di sostenibilità dei dividendi. Il quadro macroeconomico nel quale è stata costruita la previsione, tra l'altro, è tutt'altro che "bullish". Infatti considera una situazione a L, dove dopo un ripido calo dell'economia il contesto si assesta a un livello dove resta sostanzialmente piatto senza riprendere in forma smagliante.

L'assunto di base della simulazione – che non è quello che sarà, ma quello che potrebbe succedere "se" – è il più restrittivo a riguardo dei vincoli di Basilea 3: che venga cioè imposto a tutti un core Tier 1 dell'8%, senza considerare la leva che invece in qualche misura dovrebbe entrare in gioco. Si "aggiustano" quindi i parametri di vigilanza dei singoli istituti con le ipotesi di calcolo dei ratio che potrebbero essere introdotti. Per quanto riguarda i risk weighted assets, che sono al denominatore del parametro, le ipotesi fatte su rischio di controparte, rischio di mercato e securitization portano a quantificare un aumento medio di questa voce nel paniere considerato del 9,4% nel 2010, più pronunciato per le banche d'investimento (15-20%) e le banche wholesale (10-15%) che per le banche retail (3-9%). Facendo riferimento alla tabella pubblicata a fianco, si passa in sintesi dal core Tier 1 iniziale a quello rettificato, incorporando le ipotesi dello scenario-base di Basilea 3, così come concepito dagli analisti di Mediobanca. In questo scenario le più penalizzate sarebbero le banche francesi e quelle italiane che, nel sempre paniere considerato da Mediobanca, potrebbero ritrovarsi al 2012 con una penuria di capitale di 18 miliardi, dopo aver remunerato gli azionisti. Per loro in particolare si porrebbe il problema della sostenibilità dei dividendi. Per quanto riguarda le banche italiane, l'analisi proietta a fine triennio una carenza di capitale superiore agli 8 miliardi per ciascuna delle due big tricolori, UniCredit e Intesa Sanpaolo (si veda la tabella), che si ridurrebbe rispettivamente a 4,4 e 3,1 miliardi incamerando gli utili non distribuiti. Il report segnala che anche le banche che hanno utilizzato i cosiddetti Tremonti bond, come Mps e Banco Popolare, dovrebbero probabilmente far ricorso ad aumenti di capitale. Nello specifico, Mps dimezzerebbe però il fabbisogno patrimoniale dai 2,47 miliardi del 2010 a 1,26 miliardi nel 2012.

Sempre tenendo conto degli utili non distribuiti che potrebbero essere prodotti nei prossimi anni fino al 2012, anche le banche francesi si ritroverebbero a corto di capitali: Bnp per 3,5 miliardi, SocGen per quasi 3, Crédit Agricole per 2,8. Con l'aggravante che gli istituti transalpini, in particolare Bnp, hanno un profilo di rischio più elevato per la maggiore leva finanziaria e per le rettifiche relative alle compagnie assicurative non consolidate (che non sono comprese nell'esercizio teorico del report) con l'effetto di raddoppiare le esigenze di capitale.

La proiezione al 2012 per le banche riportate nel grafico interattivo segnala altri tre istituti in prospettico affanno patrimoniale: Morgan Stanley per una stima di 756 milioni, Bbva per 1,58 miliardi, Die Erste Bank per 201 milioni.

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